Rassegna Stampa

Torino: al carcere Lorusso e Cotugno un percorso di fede per i detenuti musulmani

di Irene Famà

La Stampa, 9 luglio 2015

La Casa circondariale Lorusso e Cotugno decide di scommettere sull’integrazione. Dalle prossime settimane verrà assicurata l’assistenza spirituale ai detenuti musulmani. Una ventina di volontari delle moschee torinesi di corso Giulio Cesare e di via Chivasso si sono resi disponibili ad offrire a chi è in carcere un sostegno nella fede per aiutarli a riflettere sugli errori commessi e su come reinserirsi nella società.

L’idea, risultato di un lungo studio e confronto, nasce da una collaborazione con il forum “Politiche di integrazione e nuovi cittadini” della Circoscrizione 7. Territorio particolarmente eterogeneo e multietnico che cerca di favorire l’incontro, la conoscenza e il rispetto tra le diverse culture.

“Su 1.300 detenuti – spiega il direttore del carcere delle Vallette, Domenico Minervini – il 60% sono extracomunitari. Più del 40 proviene dal Medio Oriente ed è di religione islamica. Considerati i numeri, abbiamo deciso di proporre anche l’assistenza spirituale musulmana. Il nostro è un esperimento. In un contesto complesso, detentivo, puntiamo sull’integrazione. Abbiamo scelto di dare un segnale di distensione tra le diverse tradizioni e i diversi paesi”. La risposta della comunità musulmana è stata immediata e propositiva.

“Chi è in carcere ha sicuramente sbagliato – dichiara Brahim Baya di Taiba, del centro di culto di via Chivasso costruito nel 2006 dall’Associazione Islamica delle Alpi. Ha commesso errori, ma rimane, nonostante tutto, una persona. I detenuti sono uomini con doveri, diritti e bisogni. Oltre alle necessità primarie c’è anche quella spirituale. Ecco perché il nostro gruppo è orgoglioso di poter dare una mano ai fratelli che hanno smarrito la retta via”.

La normativa Sostegno anche dall’Afaq, Associazione Culturale e di Sviluppo che gestisce la sala di preghiera di corso Giulio Cesare. “Chi è in prigione, sovente scopre o rafforza il legame con la fede – racconta il referente Hassan El Batan. In un contesto di solitudine, molte sono le domande che sorgono sui fondamenti della religione, sul ramadan, sui profeti. Credere è un importante strumento di pentimento e riabilitazione”.

Tra i volontari che offriranno ai detenuti assistenza spirituale, ci saranno anche alcuni Imam. Per questi, però, servono permessi particolari e si sta ancora aspettando il parere del Ministero. “Questo progetto – dichiara Diletta Berardinelli, coordinatrice del Forum – è un primo passo verso un percorso di integrazione detentiva che in molti altri paesi è regolato a livello nazionale, mentre qui, invece, è ancora privo di normativa”.

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