Opinioni

Sardine velate

Riceviamo da Halima Rakiki e pubblichiamo la seguente riflessione critica a proposito dell’articolo di Paolo Flores d’Arcais Ma la sardina col velo no, “per la contradizion che nol consente”

Il velo islamico viola una precondizione della democrazia: il principio di laicità dello Stato. Questa è l’opinione di d’Arcais. Il dubbio sorge spontaneo: com’è possibile che un pezzo di stoffa possa violare la laicità dello Stato? In nessun momento i valori islamici pretendono di opprimere la legge civile, portare il velo islamico è un atto di fede personale che si avvale della libertà di espressione garantita dall’articolo 3 della costituzione. La libertà di culto ed espressione non sono per definizione antidemocratiche, a meno che la nostra costituzione lo sia. La volontà di dissolvere la religione è esistita in Unione sovietica, dove regnava in virtù del totalitarismo una religione laicizzata, e i problemi del regime comunista sono noti, basti osservare che oggi non esiste alcuna Unione sovietica. É necessario esaltare le diversità, valorizzare le identità personali per renderle un punto di forza della società e non un nemico da attaccare, per evitare una collettività omologata, congruente ed invariabile. E il hijab, a malgrado di molti, fa parte dell’identità di molte italiane musulmane.

Il Censis (centro studi investimenti sociali) riporta che il 48,2% degli italiani vorrebbe un “uomo forte al potere” che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni. Questi sono i veri problemi anticostituzionali e antidemocratici che dovrebbero affliggerci non di certo il velo islamico. L’Italia non può e non deve nemmeno pensare un governo che riapra “le pagine nere del passato” (come ha detto Nibras Asfa), essendo un paese che il fascismo l’ha inventato. 

Il dottor d’Arcais poi cerca in modo rudimentale di analizzare i versetti del Corano che a suo avviso dimostrano l’oppressione religiosa sulla donna. Innanzitutto la traduzione é in gran parte errata ed accorciata. É opportuno un approccio linguistico corretto e considerare il Corano in termini dinamici, non cristallizzati, osservanti l’evolvere della storia e dei contesti. In primis in arabo bisogna analizzare due parole “qawwamuna” e “daraba”. Il primo predicato sta a indicare il rapporto dell’uomo rispetto alla donna, che al posto di  “hanno autorità” può essere tradotto con le forme “ha responsabilità economica” e “deve proteggere” che devono ancora essere contestualizzati. 

Il secondo verbo, tradotto erroneamente come “battetele”, tutte le volte che compare nel Corano, anche nei rapporti non fra sessi opposti, non è mai tradotto con picchiare. Perché proprio qui leggerci violenza di genere? La traduzione più corretta è quella di “allontanarsi”, la quale si avvicina senza coprire a pieno il significato anch’esso ancora da contestualizzare all’interno della sura e del contesto storico. 

Leggere alla lettera ogni testo è fuorviante che si tratti di Dante, di Kant o del Corano stesso, o perlomeno non ci permette una comprensione il più approfondita possibile, limitandoci all’ipersemplificazione.

“Chiedere di realizzare la Costituzione è impegnativo. Perché a parole, a chiacchiere, a retorica negli avversari, tutti i governi le rendono omaggio. La differenza consiste nella coerenza tra il dire e il fare.” Secondo me, invece, la differenza consiste nella coerenza tra il capire, il dire e il fare. Perché comprendere- la Costituzione, il velo islamico o qualunque sia l’argomento che richieda l’azione- non è un passaggio da sottovalutare, prevarrebbero altrimenti nettamente il pressappochismo e la fulmineità sulla ponderazione e sull’approfondimento. Tra capire e dire vige un legame indissolubile, anticorpo per gli intolleranti tollerati dalla democrazia. “L’attualità ci chiarisce le idee e ci obbliga a trasformare il vocabolario. Lasciamo cadere la parola «tiranno»: sostituiamola con quella di «stupido»: faremo del passato storia contemporanea”. Per non essere come lo “stupido”, l’unica arma è lasciarci i pregiudizi alle spalle, non cercare conferma e prove a supporto di preconcetti assimilati superficialmente.

 

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