Cittadinanza Rassegna Stampa

I musulmani raccontano come vivono il Ramadan | La Stampa

MARIA TERESA MARTINENGO | LA STAMPA

La notte appena trascorsa è stata «Laylat ul Qadr», la «Notte del Destino», quella in cui secondo la tradizione, dal cielo scese il Corano. «È la notte che tutti i musulmani trascorrono in preghiera, una notte che ci si prepara a vivere con grande emozione. Gli ultimi dieci giorni di Ramadan – racconta Brahim Baya, portavoce dell’Associazione Islamica delle Alpi – sono i più importanti, è anche il tempo in cui si versa la ”zakat”, l’elemosina, perché quando il mese sacro finirà anche i poveri possano fare festa». Ramadan finirà con l’avvistamento della luna in Arabia Saudita (i calcoli non sono ancora accettati da tutte le comunità) e questo avverrà giovedì sera o venerdì. La preghiera con migliaia di fedeli alla tettoia del Parco Dora si terrà quindi la mattina di venerdì o sabato alle 8,30.

Per la comunità musulmana quello che volge al termine è un mese vissuto con gioia. Niente cibo e niente acqua dall’alba al tramonto, ma la privazione sembra non pesare. «Tutto ciò che facciamo di bene durante Ramadan sarà ricompensato da Dio moltiplicato. Lavoriamo tanto, dormiamo poco, ma lo facciamo con amore», spiega Kadija Moukafih, 4 figli, ex operatrice socio sanitaria, che da anni vende il pesce in piazza Madama Cristina.«Mio marito si alza alle 4,30 ogni mattina, va a prendere il banco, lo porta in piazza, poi va al mercato all’ingrosso e arriva col pesce alle 8,30. In questo mese mangiamo alle 22, poi lui va in moschea fino a mezzanotte e si sveglia alle 3,30. Io resto a pregare a casa. Per noi è un tempo felice. E anche se siamo stanchi, con i clienti dobbiamo sempre avere il sorriso».

Condizioni diverse, stessa serenità. Abdessamad El Amrani è un giovane laureato al Politecnico. Vive a Vercelli con la famiglia e lavora a Torino in una società di ingegneria. «Più sentiamo il lato spirituale, meno sentiamo la fatica delle rinunce. Il corpo poi si abitua. Da studente era un po’ difficile nei primi giorni rinunciare a piccole abitudini come il caffè alla macchi- netta. Cambiano un po’ i ritmi. Al lavoro invece di andare a pranzo, faccio una passeggiata, leggo. I colleghi com- prendono e sono curiosi di sapere».

Un ospite atteso

Oumaima Haddioui, di Caselle, al primo anno di Psicologia all’Ateneo Rebaudengo, è stata responsabile dell’accoglienza alla moschea Taiba durante Moschee Aperte: «Quest’anno siamo stati fortunati, non ha fatto caldo. Ma l’importanza di questo mese non è solo nel rinunciare, ma nel condividere, nel migliorarsi. I non musulmani intorno a me sono sempre stati rispettosi, delicati. Al liceo, a Lanzo, ero l’unica musulmana: se una compagna portava una torta a scuola, me ne lasciava sempre un pezzo da portare a casa. Un gesto carino. Anche adesso all’Università sono la sola col velo, appena c’è un po’ di confidenza i compagni si informano». Bouhyry El Arabi, di Moncalieri, operaio in un’azienda multiservizi, riassume con un’immagine il senso del Ramadan che a Torino coinvolge almeno cinquantamila persone: «In famiglia cambia tutto, è come se si aspettasse un ospite importante. Lo si aspetta con ansia, con gioia».

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